Se è vero che, nel vasto ambito di indagine filosofica che nel Novecento è venuto a definirsi come “filosofia
esistenziale”, Lev Šestòv rappresenta una figura estremamente decentrata e isolata, soffermarsi sulle questioni sollevate dalla riflessione šestoviana significa nondimeno tornare ad interrogarsi in certo modo “sulle radici” del pensiero esistenziale stesso. Senza spingersi ad affermare che il filosofo russo possa essere considerato un vero e proprio padre dell’esistenzialismo, resta comunque fermo che in Šestòv emergono con decisivo vigore quelle peculiari esperienze spirituali, le esigenze poste dall’umanità vivente al di sopra o addirittura in esclusione del “paradigma oggettivante” della filosofia tradizionale che costituiscono gli orientamenti
primigeni della filosofia dell’esistenza. Sotto le insegne di questa radicale tensione ad esprimere l’esistenzialità, ad affermare la sua indipendenza da ogni orizzonte speculativo di inclusione in un universale comunque inteso, la direzione intrapresa da Šestòv è stata – almeno da un certo momento in poi – quella della rigida antinomia Atene-Gerusalemme. La valorizzazione assoluta del luterano sola fide e del tertullianeo credo quia absurdum, contrapposti a tutti i giudizi ponderati della ragione naturale, profilano davanti ai nostri occhi
una concezione della trascendenza in cui l’assoluta libertà del Dio veterotestamentario non solo non esita ad assumere tutti i tratti del non-senso e dell’assurdo, ma viene presentata come la dimensione originaria ed essenziale di ogni vivente.
Schiavitù del sapere e tragedia della libertà
di Lev Šestòv
Prezzo di copertina: 20,00 €
Esaurito
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